IL RISIKO DELLA CATTIVA ALIMENTAZIONE: Impariamo a difenderci dalle false comunicazioni e dai falsi esperti
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È di questi mesi il rapporto finale dell’OMS, che cerca di fare il punto sulla piaga del sovrappeso e dell’obesità infantile. Il rapporto sottolinea che molti bambini oggi crescono in ambienti inadeguati, che favoriscono l’aumento di peso; tra l’altro la diffusione di cibi poco sani e bevande analcoliche è un fenomeno sempre più crescente soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Riguardo all’obesità infantile, sulla base dei dati 2014, quasi la metà (48%) di tutti i bambini con meno di cinque anni in sovrappeso e obesi vive in Asia e un quarto in Africa il numero è quasi raddoppiato, rispetto al 1990).
Tra il 1990 e il 2014, nel mondo, la percentuale di bambini con meno di cinque anni in sovrappeso è aumentata dell’1,5%, passando dal 4,8% al 6,1%.
I dati sono da guardare anche in prospettiva futura, in quanto ci sono adulti che continuano ad essere in sovrappeso e giovani che lo diventano, andando a creare delle prospettive di crescita del problema veramente preoccupanti.
L’obesità coinvolge il 13% della popolazione mondiale adulta: se non si interviene rapidamente, nel 2025 questo valore salirà al 18% tra gli uomini e al 21% tra le donne, con valori di obesità grave del 6% per gli uomini e del 9% per le donne. Sono i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell’Imperial College di Londra, in collaborazione con oltre 700 ricercatori nel mondo. Con gli attuali trend, le possibilità di raggiungere l’obiettivo dall’OMS (mantenere nel 2025 i tassi di obesità registrati nel 2010) sono praticamente nulle.
Ovviamente il rapporto dell’OMS si chiude con una serie di raccomandazioni, che comunque erano anche estremamente prevedibili: promuovere l’assunzione di cibi sani e di scoraggiare il junk food, mediante una tassazione efficace sulle bevande zuccherate; porre dei limiti anche al marketing delle industrie produttrici di tali bevande. Per quanto riguarda l’educazione e l’informazione delle persone, l’OMS afferma che la cultura della nutrizione e della salute dovrebbero far parte dell’istruzione scolastica, facendo in modo che le informazioni e le linee guida nutrizionali siano diffuse in modo semplice, comprensibile e accessibile a tutti i gruppi sociali. Ovviamente si è pensato ad un sistema standardizzato di etichetta nutrizionale, obbligatoria per alimenti confezionati e bevande, che sia estremamente comprensibile da tutti. Non mancano poi altri tentativi, sempre fatti a livello istituzionale. Per esempio, la Pan American Health Organization, organo sempre appartenente all’OMS, ha pubblicato una guida per aiutare i Governi (attenzione, la guida è per i Governi) a distinguere gli alimenti freschi o industrialmente poco trasformati da quelli ultra-trasformati, in modo da essere in grado di adottare le misure necessarie per favorire una dieta sana da parte dei propri cittadini.
La Pan American Health Organization classifica le bevande e gli alimenti processati e ultra-processati sulla base dell’eccessivo contenuto di zucchero, sale e grassi e quindi definisce:
• Alimento con zucchero in eccesso, se la quantità di zuccheri aggiunti è pari o superiore al 10% delle calorie;
• Alimento con grasso in eccesso, se le calorie provenienti da tutti i grassi sono pari o superiori al 30% di tutte le calorie;
• Alimento con grassi saturi in eccesso, se le loro calorie sono pari o superiori al 10% delle calorie totali;
• Alimento con acidi grassi trans in eccesso, se le loro calorie sono pari o superiori all’uno per cento delle calorie totali;
• Alimento con sodio in eccesso, se il suo rapporto, in milligrammi, con le calorie (kcal) e 1:1 o maggiore.
Questi standard dovrebbero incoraggiare i Governi ad adottare misure restrittive per il marketing di alimenti poco sani verso i bambini, regolare la vendita di cibi e bevande nelle scuole, adottare avvertenze sulle confezioni, definire politiche fiscali per limitare il consumo di prodotti che vanno consumati saltuariamente.
La cosa più interessante è che la pubblicazione di questo rapporto è stata criticata dall’International Council of Beverages Associations, che giudica i parametri troppo radicali e poco utili. E qui c’è da divertirsi: infatti, se andate a leggere le motivazioni di tale critica, essa non viene mossa perché ci sono dati scientifici che magari sostengono che il sodio o i grassi saturi o gli zuccheri non siano dannosi per la salute, ma semplicemente perché tale critica è troppo radicale visto che quegli alimenti con zucchero, grassi, sale in eccesso purtroppo rappresentano l’80% dei prodotti presenti nei supermercati! Infatti, se le persone non avessero l’80% degli alimenti che non possono mangiare, cosa dovrebbero acquistare? Siamo arrivati a giocare a Risiko! Chi occupa più territori vince. Paradossalmente quindi, basta coprire il mercato con il 100% di questi tipi di prodotti e il gioco è fatto: dovrebbe essere l’OMS a cambiare i criteri, perché tanto la gente mangia solo quel tipo di cibo! A cosa servono migliaia di studi scientifici, a cosa servono tasse per le aziende produttrici di junk food, a cosa servono i programmi nelle scuole, se poi l’80% dei prodotti che noi vediamo negli scaffali dei supermercati hanno quelle caratteristiche? Aggiungo un altro particolare: quanti sono i ristoranti che ci fanno mangiare con 4 euro, a parte i fast food?
La politica di marketing non va fatta solo mettendo i bastoni fra le ruote alle grandi multinazionali che vendono prodotti poco sani (a loro una tassa in più o in meno non fa differenza), ma va fatta premiando quei produttori di cibi sani, del territorio, con caratteristiche nutrizionali bilanciate; va fatta dando la possibilità di offrire pasti sani e appetitosi a prezzi competitivi (migliorando la filiera, le criticità di distribuzione, ecc.); va fatta incentivando i promotori culturali a diffondere messaggi culturalmente etici, fatti di equilibrio, di misura, di gusto, fatti di informazione corretta e non solo perché si vuol spingere questo o quel prodotto.
La giusta politica di marketing va fatta non vietando ma creando sinergie: se io so che posso concedermi un pacchetto di patatine e mangio 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, forse capisco che il problema non è la patatina, ma l’equilibrio alimentare che voglio dare alla mia giornata. Forse, dico forse, in un tentativo per cui tutti (produttori, consumatori, opinionisti) ci muoviamo con lo scopo di creare un equilibrio alimentare, senza vietare, ma educandoci alla misura, alla varietà, forse non dovremmo assistere impotenti a questo gioco del Risiko in cui l’80% degli scaffali è occupato da “truppe avversarie alla salute”… forse sapremmo anche come difenderci.
“Con aggiunta di vitamina A e C”, oppure “con calcio e vitamina D”, e ancora “contiene probiotici, fibre e vitamine”. Quante volte abbiamo letto queste parole sulle confezioni dei prodotti esposti sugli scaffali del supermercato? Ma siamo sicuri che i prodotti con queste diciture siano salutari solo perché contengono una manciata di vitamine? Una recente inchiesta pubblicata dall’associazione non-profit europea Foodwatch, ha dimostrato come la gran parte dei prodotti alimentari che vantano proprietà salutistiche grazie all’aggiunta di vitamine sono tutt’altro che salubri.
Foodwatch ha analizzato 644 prodotti arricchiti di vitamine venduti sugli scaffali di supermercati e discount tedeschi e olandesi, prendendo come riferimenti nutrizionali i profili nutrizionali stilati dagli uffici europei dell’OMS. L’analisi delle etichette ha evidenziato che l’80% dei prodotti non rispetta i parametri minimi per essere considerati un cibo adatto al consumo quotidiano, nell’ambito di una sana alimentazione. I motivi sono quasi sempre l’eccesso di: zuccheri, sale e grassi. Non sorprende che la maggior parte dei prodotti bocciati nel test (oltre 300), siano succhi di frutta e bevande, anche se nel gruppo si trovano diversi tipi di yogurt e cereali per la prima colazione.
Secondo Foodwatch, l’aggiunta di vitamine ai prodotti per pubblicizzarli come salutari per l’organismo è una tecnica consolidata e vincente dal punto di vista del marketing, perché i consumatori ci credono. Le aziende alimentari sfruttano in modo opportunistico una lacuna nella legislazione europea che regolamenta i claims nutrizionali e salutistici (European Nutrition and Health Claims Regulation EC 1924/2006 o NHCR). La norma, creata appositamente per porre fine al far west di rivendicazioni salutistiche sulle confezioni dei prodotti alimentari, presenta però vistose lacune. La normativa consente l’utilizzo di claim di carattere nutrizionale scientificamente dimostrati per i prodotti effettivamente salutari. La criticità della norma è che per selezionare i prodotti “salutari” bisogna avere come riferimento dei profili nutrizionali. I profili, che dovevano entrare in vigore nel 2009, non sono mai stati definiti. Il risultato è che oggi sulle confezioni di molti prodotti sono presenti diciture salutistiche prive di senso, in quanto associate a alimenti molto poco indicati per una sana alimentazione.
La ricerca di Foodwatch evidenzia la necessità di stabilire i profili nutrizionali per implementare la normativa NHCR e difendere i consumatori dall’aggressività di una pubblicità ambigua e ingannevole. Purtroppo il Parlamento Europeo, andando in direzione opposta, ha appena approvato (12/04/16), nella risoluzione REFIT, la proposta di escludere i profili nutrizionali dal regolamento sui claim salutistici. Per ora nulla di vincolante, ma sicuramente una presa di posizione scoraggiante da parte dell’Europa
Il livello di zucchero nelle bevande alla frutta è “inaccettabilmente alto”: è la conclusione di uno studio pubblicato dalla rivista BMJ Open e condotto da ricercatori delle Università di Liverpool e di Londra.
Gli scienziati hanno analizzato 203 bibite alla frutta, succhi di frutta 100% e frullati, venduti nei sette principali supermercati del Regno Unito e commercializzati in modo specifico per i bambini in contenitori da 200 ml. I ricercatori hanno quindi misurato la quantità di zuccheri aggiunti includendo nel calcolo glucosio, fruttosio, saccarosio e lo zucchero da tavola escludendo le sostanze dolci contenute naturalmente nella frutta metabolizzate in modo diverso dall’organismo.
I risultati della ricerca evidenziano molte differenze tra i diversi tipi di bevande della stessa merceologia.
Ben 85 dei 203 prodotti analizzati contengono una quantità di zuccheri pari alla quantità massima giornaliera consigliata per i bambini (19 grammi circa ovvero quasi quattro cucchiaini da tè). Complessivamente il contenuto di zuccheri aggiunti varia da zero a 16 grammi per 100 ml di bevanda, mentre il valore medio è 7 grammi. La più alta quantità di zuccheri è stata riscontrata nei frullati, con una media di 13 grammi.
Applicando l’etichetta nutrizionale con i colori del semaforo, raccomandata dalla Food Standards Agency, 117 dei 203 prodotti analizzati dovrebbero indicare il rosso e 63 verde. Uno dei ricercatori, il professore Simon Capewell, osserva come la crescente consapevolezza dell’effetto delle bevande zuccherate su denti e sul peso dei bambini, ha spinto molti genitori a optare verso alternative apparentemente più sane, come i succhi di frutta e i frullati.
«Purtroppo, la nostra ricerca dimostra che queste persone vengono ingannate», afferma il docente dell’University of Liverpool, perché il contenuto di zuccheri aggiunti è “inaccettabilmente alto” e “i frullati sono tra i peggiori”.
Il Ministro delle finanze britannico, George Osborne, ha annunciato che dal 2018 entrerà in vigore una tassa sulle bibite con troppo zucchero. La tassa avrà due fasce: una per le bibite contenenti più di 5 grammi di zucchero per ogni 100 millilitri e l’altra per le bibite con più di 8 grammi di zucchero per ogni 100 millilitri. I succhi di frutta naturali, le bibite a base di latte e i piccoli produttori saranno esenti dalla tassa.
La stima del governo britannico è che nel primo anno di applicazione dell’imposta, le entrate saranno pari a circa 520 milioni di sterline, equivalenti a circa 666 milioni di euro, mentre negli anni successivi è auspicabile una diminuzione del gettito, perché ciò significherebbe una riduzione del contenuto di zucchero nelle bibite. Gli introiti saranno destinati ad attività sportive nelle scuole.
La tassa sarà imposta alle aziende, in base al volume di bibite zuccherate che producono o importano, e spetterà a loro decidere se scaricarla sui consumatori, aumentando il prezzo delle bibite. Quindi, la strategia del governo britannico non è quella di dissuadere l’acquisto delle bibite zuccherate da parte dei cittadini, aumentandone il prezzo, ma di spingere le aziende produttrici, attraverso la leva fiscale, a ridurne il contenuto di zucchero.
Nel presentare al parlamento britannico il Budget 2016, in cui è inserita la nuova tassa sulle bibite con troppo zucchero, George Osborne ha detto: “Non voglio dover guardare indietro a questo mio periodo in parlamento, avendo ricoperto questo ruolo, e dover dire alla generazione dei miei figli: «Mi dispiace. Sapevamo che avevamo un problema con le bibite zuccherate. Sapevamo che avrebbero causato malattie. Ma abbiamo evitato di prendere decisioni difficili e non abbiamo fatto niente».
Critiche alla nuova tassa sono state sollevate dall’associazione dei produttori di bibite, la British Soft Drinks Association, che l’ha definita “semplicemente assurda” e si è dichiarata molto delusa dalla decisione del governo di colpire l’unica categoria del settore alimentare e delle bevande che negli ultimi anni ha costantemente ridotto l’apporto di zucchero, che è diminuito del 13,6% rispetto al 2012, e che lo scorso ha deciso una riduzione del 20% delle calorie entro il 2020.
Circa il 60% delle calorie quotidiane assunte dai cittadini statunitensi proviene da alimenti ultra trasformati, a cui si deve anche il 90% delle calorie provenienti dagli zuccheri aggiunti consumati ogni giorno.
Lo ha rilevato uno studio pubblicato da BMJ Open, realizzato sui dati dietetici relativi al 2009-2010 di oltre novemila persone, partecipanti a un programma di studi dei Centers for Disease Control and Prevention.
Gli zuccheri aggiunti rappresentano mediamente il 21,1% delle calorie degli alimenti ultra trasformati, otto volte più degli alimenti trasformati (2,4%) e cinque volte più della somma di zuccheri aggiunti degli alimenti minimamente trasformati e degli ingredienti da cucina trasformati (3,7%).
Per alimenti ultra trasformati si intendono quelli industriali preparati con ingredienti non utilizzati in casa come: caseina, siero di latte e proteine isolate, oppure oli idrogenati, amidi modificati e aromi.
Gli zuccheri aggiunti aumentano il rischio di sovrappeso e obesità, oltre a favorire disturbi cardiovascolari.
Le linee dietetiche statunitensi raccomandano di non superare il 10% delle calorie giornaliere provenienti da zuccheri. Gli autori dello studio affermano che limitare il consumo di cibi ultra trasformati sarebbe un modo molto efficace per diminuire il consumo di zuccheri aggiunti e favorire l’incremento di cibi minimamente trasformati o naturali più salutari, come latte, frutta e noci, piatti preparati al momento a base di cereali integrali e verdure.