IL PUNTO SULLA MALNUTRIZIONE: Da eccesso o da carenza di cibo
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Attualmente nel mondo una persona su tre soffre di una delle possibili forme di malnutrizione, con costi economici sulla salute pubblica estremamente alti, stimati intorno ai 3.500 miliardi di dollari l’anno.
Con il termine di malnutrizione però non intendiamo esclusivamente coloro che si nutrono in eccesso; infatti circa 800 milioni di persone soffrono la fame cronica, nel senso che non sono nelle condizioni di consumare regolarmente cibo in quantità sufficiente per condurre e mantenere una vita sana e attiva. A questi dobbiamo poi aggiungere tutti coloro che si nutrono in eccesso (quindi in sovrappeso e obesi) e poi coloro che utilizzano regimi alimentari che portano comunque a carenze tanto da rientrare in un concetto di malnutrizione: infatti, oltre due miliardi di persone nel mondo seguono una alimentazione che manca di micronutrienti e si stima che 150 milioni di bambini sotto i 5 anni di età siano affetti da rachitismo a causa di regimi alimentari inadeguati. Allo stesso tempo 1,9 miliardi di persone sono sovrappeso e circa 600 milioni sono obesi. A complicare poi la situazione è anche il disomogeneo tessuto sociale, per cui persone nelle stesse comunità possono soffrire contemporaneamente fame, mancanza di micronutrienti e obesità. Secondo la FAO nessun Paese è ormai immune da questo problema ed è chiaro che un aspetto così complesso della vita dell’uomo può essere affrontato solo mettendo in atto politiche globali (e non territoriali) che intervengano a ogni stadio della catena alimentare: dalla produzione, alla lavorazione, alla commercializzazione e al consumo. Vero è che, paradossalmente, sembra più facile sconfiggere la malnutrizione da mancanza di cibo che non quella da eccesso.
Non lascia molti dubbi l’ultimo rapporto della World Obesity Federation (WFO) pubblicato su Pediatric Obesity e ripreso dal Guardian: esso delinea una situazione planetaria di cui non sembrano preoccuparsi in molti, professionisti della salute a parte. Il problema della malnutrizione da eccesso, che quindi conduce a obesità, sta traghettando un’intera generazione verso un futuro di malattia e ciò avverrà in tempi molto più brevi di quanto si possa credere. Il fenomeno è visibile virtualmente in ogni paese. Se consideriamo esclusivamente l’obesità infantile i Paesi più colpiti al primo posto ci sono tre nazioni del Pacifico del Sud, seguiti dall’Egitto (con un 35,5% di bambini tra i 5 e i 17 anni obesi), la Grecia (31,4%), l’Arabia (30,5%), gli Stati Uniti (29,3%), il Messico (28,9%) e la Gran Bretagna (27,7%). La WFO ha stimato che nel 2025 circa 268 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni potrebbero essere in sovrappeso. Ma il problema, badate, non è semplicemente estetico. Tradotto in malattia, già oggi 3,5 milioni di bambini hanno il diabete 2, tipicamente associato, fino a pochi anni fa, all’età avanzata. Entro il 2025 si prevede un incremento a 4,1 milioni: tutti adulti destinati ad andare incontro a una vita medicalizzata e molto spesso gravata da cecità, amputazioni e altri gravi effetti. Non solo; 12 milioni di under 17 hanno una intolleranza al glucosio e una resistenza all’insulina, cioè condizione di prediabete, 27 milioni ipertensione e 38 milioni steatosi epatica (cioè un eccesso di grasso nel fegato non dovuto ad altre patologie o ad alcolismo).
Si può ben intuire come questo problema rappresenti una piaga economico-sociale terribile con costi elevatissimi che vanno ad incidere in modo grave sull’economia dei diversi Paesi. Basti pensare che i costi sanitari per patologie derivanti dall’obesità ammontano a 9 miliardi di euro all’anno. In un’ottica di malnutrizione però non è neanche da sottovalutare un intervento di educazione alimentare a tutte quelle fasce di popolazioni che vengono sollevate dalla piaga della fame. In molti Paesi si sta verificando un effetto paradosso: Paesi emergenti, che fino a qualche anno fa avevano enormi fasce di popolazione sofferenti di fame, nel momento in cui hanno gradualmente ridotto il problema hanno visto aumentare il tasso di sovrappeso, proprio perché alle politiche di abbattimento della fame non è seguita una politica di educazione alimentare, che sostenesse le persone durante questi cambiamenti. L’Egitto, per esempio, è il quarto Paese al mondo con il più alto tasso di sovrappeso e obesità: il 63,2% degli adulti è in sovrappeso e più del 30% obeso. Il piatto tipico egiziano è il koshari, un misto di lenticchie, pasta e riso condito con salsa di pomodoro e cipolle. Valore calorico di una porzione media: 800 calorie; il problema è che è spessissimo accompagnato da soda. Inoltre, i chioschi per strada, numerosissimi, vendono una quantità esorbitante di bibite dolci e di alimenti molto salati e fritti, e lo zucchero è parte fondante della cultura alimentare egiziana, a cominciare da tè zuccherato, che bevono non meno di 4-5 volte al giorno. Negli ultimi anni, poi, in tutto il Paese si sono diffuse molte delle principali catene internazionali di junk food, da quelle di hamburger a quelle di pizza, che hanno rappresentato una novità gastronomica, ma sono entrate in modo anarchico nella giornata alimentare delle persone.
Certo che parlare di sovrappeso e obesità su una rivista di enogastronomia sembra un controsenso! Ed è invece proprio qui che si gioca la sfida più grande. Il vero cambio culturale (ci vorranno ahimè tante generazioni) si attua solo se tutti gli attori nel vasto mondo della nutrizione, della cultura eno-gastronomica, della scienza e della comunicazione iniziano a parlare lo stesso linguaggio con la stessa finalità e iniziando dalla stessa domanda: come posso imparare a soddisfarmi con il cibo senza che questo mi faccia male?