GENITORI, FIGLI E… CATTIVE ABITUDINI
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Sono da poco stati pubblicati i nuovi risultati delle elaborazioni statistiche dell’Osservatorio “Okkio alla Salute”, promosso dal Ministero della salute/CCM (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. I dati che sono stati raccolti riguardano un campione di 48.946 bambini di 8-9 anni e 48.464 genitori, rappresentativo di tutte le regioni italiane. Il primo dato che emerge (e che potrebbe essere comunque identificato come positivo) è che, in Italia, i bambini obesi e in sovrappeso sono diminuiti del 13%, in meno di dieci anni. Prima però di cantar vittoria è bene sapere che l’Italia rimane una tra le nazioni con il più alto tasso di bambini in sovrappeso e obesi, come dimostra la COSI (Childhood Obesity Surveillance Initiative), iniziativa internazionale a cui partecipano più di 30 paesi europei.
In un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha preso in esame le abitudini di 53 Paesi, il consumo quotidiano di frutta tra gli adolescenti italiani risulta essere sceso dal 38,3% del 2002 al 37,4% del 2014, dopo aver raggiunto il 43,5% nel 2008. Buone notizie sul consumo di verdura: è in aumento in entrambi i sessi ed è passato dal 21,7% del 2002 al 26,6% del 2014. Altra nota interessante è la flessione (ben 10 punti in percentuale) nel consumo quotidiano di dolci (dal 38,2% del 2002 28,4% del 2014); andamento simile anche per le bevande zuccherate (dal 24,4% al 16,2%).
Ci sono quindi dati contrastanti, alcuni incoraggianti, altri più preoccupanti. A proposito di questi ultimi, un dato interessante è quello che riguarda la percezione che i genitori hanno nei confronti del sovrappeso dei figli. Infatti, il 40% dei genitori con figli sovrappeso è convinto che abbiano un peso nella norma. Questo è un problema educativo e di consapevolezza estremamente serio: i genitori tendono a sottovalutare il fenomeno del sovrappeso nei propri figli e tendono, invece, ad ingigantire l’entità delle ore di attività fisica che i figli fanno; normalmente infatti il genitore si ritiene tranquillo se il figlio effettua 2-3 ore a settimana di attività fisica extrascolastica. Questo alterato criterio valutativo da parte del genitore porta ad avere percentuali abbastanza preoccupanti: il 23,5% dei bambini svolge giochi di movimento non più di un giorno alla settimana, il 33,8% svolge attività fisica strutturata con la stessa frequenza. Inoltre, solo un bambino su quattro si reca a scuola a piedi o in bicicletta.
Ma cosa orienta le scelte alimentari dei bambini? Se lo sono chiesti i pediatri del Cohen Children’s Medical Center di New Hyde Park coordinati da Ruth Milanaik, in tre diversi studi presentati al recente congresso delle Pediatric Academic Societies svoltosi a San Francisco.
Nel primo lavoro, al centro dell’attenzione c’erano i genitori, vittime del cosiddetto effetto halo, ovvero quella suggestione per cui si tende a vedere un risultato positivo anche quando non c’è perché lo si vuole vedere. L’effetto si verifica anche quando i genitori considerano un cibo sano per i figli, lo acquistano senza porsi tante domande e magari pensano che sia anche capace di esercitare un effetto positivo (un esempio è l’acqua calda con il limone, che è popolarissima, ma della quale non esiste un solo articolo scientifico che ne testimoni l’efficacia!). Nello specifico, oltre mille tra madri e padri, sono stati invitati a scegliere tra alimenti che avevano caratteristiche nutrizionali praticamente identiche ma packaging diversi. In un caso la confezione enfatizzava le qualità nutrizionali e la naturalità del contenuto, mentre l’altra confezione era simile a quella del junk food. Il risultato è stato che quasi tre quarti dei genitori hanno optato per il primo packaging! Ma la cosa più interessante è che il 77% dei partecipanti ha affermato di voler leggere le etichette in un secondo tempo: questo significa che l’aspetto del packaging sembra dunque avere più importanza del valore alimentare. Attenti, cari genitori, perché questo meccanismo le industri alimentari lo conoscono benissimo: giocano (e vincono!) sfruttando questo fenomeno. Basta un packaging accattivante, due articoletti su un blog, uno slogan rassicurante e il gioco è fatto.
Nel secondo studio i genitori di quasi duemila bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni sono stati invitati a indicare il comportamento alimentare dei protagonisti televisivi preferiti dai figli in 60 diversi programmi. È emerso è che il 92% dei personaggi mangia o comunque compie scelte alimentari, il 59% orientate verso un junk food, per lo più al di fuori di un pasto. Potete capire come questo sia fortemente diseducativo: i genitori dovrebbero scoraggiare la visione di alcuni programmi o, almeno, sottolineare che quello che i figli vedono nel programma è un atteggiamento alimentare negativo. Mi si dirà che è impossibile controllare quello che i figli guardano in televisione: verissimo. Allora, visto che ora sappiamo che il rischio è che passino certi messaggi subliminali, concentriamoci sul dare a tavola un modello (il nostro) che sia più sano. Il vero problema è che non abbiamo la consapevolezza dell’entità del fenomeno e quindi lo sottovalutiamo. Il terzo studio ha effettuato un interessante confronto tra peso corporeo e tipo di programma preferito. Emerge che il 43% dei bambini normopeso o sottopeso guarda programmi con protagonisti che mangiano in modo poco sano, ma la percentuale sale al 54,5% tra quelli in sovrappeso e al 49,8% tra i piccoli obesi. Altro dato interessante riguarda la tendenza all’emulazione, da parte dei più piccoli, di comportamenti alimentari negativi che vedono nei personaggi preferiti. Infatti, il 22% dei bambini normopeso ricorda quello che mangia il personaggio preferito; la percentuale sale al 28,4% di quelli in sovrappeso e al 30,3% di quelli obesi. Evidentemente, il fatto di amare una certa figura di fantasia spinge i piccoli a imitarne i comportamenti, anche quando sono scorretti. Da qui cresce uno scollamento con le sane abitudini alimentari, che con il passare del tempo, diventano sempre meno sane! Sono proprio passati i tempi del mitico “Braccio di Ferro”!
Emerge quindi, in modo estremamente evidente, che il programmare la salute nel piatto inizia da un approccio più attento (e sicuramente più faticoso) dei genitori, che, da una parte devono acquisire sempre più consapevolezza sull’entità del problema del sovrappeso, educandosi essi stessi al fine di raggiungere una maggior conoscenza alimentare e dall’altra devono fare una maggior fatica nell’indirizzare meglio scelte, attività, programmi televisivi, messaggi, esempi a tavola che possano poi, riuniti organicamente insieme, essere il vero, sano, modello che i figli siano in grado di seguire.